
La messa in scena, curata da Dagmar Schlingmann (attuale curatrice del teatro) è riuscita a divertire e sorprendere anche chi l’opera di Rossini la conosce e menadito. Si tratta di una commedia fatta di equivoci, di identità travisate, di un omaggio all’ingegno e alla stupidità o ingenuità umana: a primo acchito sembrerebbe perfetta già in sé, senza alcuna modifica. Eppure la nuova messa in scena è riuscita a soprendere anche i questo: inserti di musica jazz, attori e coordinatori, come il direttore di scena Gatenao Franzese, che abbiano in scena, quasi spaesati e un dialogo attivo tra Figaro e il direttore d’orchestra. Gli attori, inoltre, diventano un tutt’uno con il pubblico che viene coinvolto nello spettacolo, seppur non attivamente. Riceve le rose che Figaro distribuisce alla sua entrata, i soldi che il conte Almaviva spande intorno a sé e, quando la tecnica dei sovratitoli decide di non funzionare, riceve piccole precisazioni in lingua tedesca sullo svolgimento del tutto. Una sorta di traduttore simultaneo che, vista la composizione dell’opera, non fa che accrescere l’ilarità dell’accaduto. Della produzione originale ci sono solo quattro attori, gli altri sono stati selezionati tra i membri della compagnia teatrale: eppure il livello è alto e, alla fine, non si è in grado di dire se ci sia stato un anello debole. Il pubblico è unanime nella decisione: una standing ovation alla fine dello spettacolo conferma la scelta della Schlingmann di modernizzare questa opera di Rossini dedicata all’amore.
Elisa Cutullè