Non è cosa frequente assistere ad una “prima assoluta” di un’opera lirica in questo scorcio di XXI secolo: c’è l’emozione e la curiosità per il librettista che ha composto il testo e per il compositore che ha messo la sua musica; c’è la voglia di capire perché si è scelto questo genere musicale in un momento nel quale la lirica proposta nei teatri è quella dei passati capolavori, e scoprire come il regista ha dato vita a questa opera sul palcoscenico. Con queste curiosità ci siamo presentati al teatro e, con grandissimo piacere, riportiamo le nostre considerazioni….
Un lunghissimo silenzio durato per tutti i 90 minuti di rappresentazione, poi un calorosissimo, inarrestabile scroscio di applausi che ha accompagnato la ribalta dei protagonisti e che è proseguito anche dopo l’ultimo saluto: questo, in estrema sintesi, l’esito delle due serate, tre se si comprende l’anteprima messa a disposizione degli studenti, della prima assoluta di Falcone e Borsellino – ovvero il muro dei martiri, l’opera inedita andata in scena, in prima assoluta, a conclusione della stagione lirica 2012/13 del teatro Verdi di Pisa.
Rifiutata a Palermo, dove è nata dalla volontà di restituire alla città e alla nazione il diritto alla dignità e alla legalità ad opera di due artisti che hanno scelto la via della cultura come strumento di reazione alla mafia e alle mafie, è stata accolta e ospitata a Pisa dove, pur non essendoci al momento un “allarme”, è ben presente il rischio di radicamento di quelle pericolose infiltrazioni di illegalità organizzata che da tempo scelgono le vie occulte per agire con maggiore efficacia.
La sensibilità del direttore artistico Marcello Lippi che ha visionato l’opera quando ancora era in gestazione proprio in quella Palermo dove si svolgono i fatti e il senso civico del CdA della Fondazione Teatro di Pisa, accompagnato dall’appoggio delle Istituzioni pisane, delle scuole, dell’Associazione Libera, hanno fatto sì che quest’opera non dovesse restare prigioniera delle paure di coloro che, pur vivendo sulla loro pelle il tragico peso delle influenze mafiose nella vita quotidiana, non trovano la volontà e la forza di reagire dando voce a quei cittadini che intendono ribellarsi.
Alla nostra domanda su come sia nata l’dea di un’opera su Falcone e Borsellino, il compositore, Antonio Fortunato, ci ha così risposto:
“Non vorrei minimamente apparire retorico, abusando di frasi fatte, sostanzialmente prive di un autentico e sincero significato, ma in questo caso oso dire e senza ombra di dubbio, che nasce da un esigenza sociale, intellettuale e spirituale. Osservando la realtà della nostra città e parlandone col mio librettista, Gaspare Miraglia, ci rendevamo conto che, dopo le clamorose e dure prese di posizioni della società civile nei giorni successivi ai due terribili attentati contro Falcone e Borsellino, poco o nulla era cambiato sul fronte dell’impegno antimafia. Anzi, al di là dei ritualismi delle commemorazioni ufficiali, il tempo aveva deposto su quei massacri una spessa patina d’oblio capace di sopire ogni reazione delle coscienze e delle Istituzioni. Vorrei ricordare che in Sicilia, come del resto in altre parti della penisola, in molte amministrazioni comunali si chiedeva che nei parchi cittadini, come stava per verificarsi a Milano e poi a Palermo nel suo aeroporto, venisse cancellata la titolazione ai due martiri. Era un modo molto palese, per dire che quella era una storia vecchia e che ormai non interessava più a nessuno. Si cercava anche di sminuire e di far dimenticare due eroi dei nostri tempi che, con grande nobiltà e grande impegno morale e sociale, avevano dato un segno tangibile di come lo Stato, le Istituzioni e i cittadini potevano rispondere alla violenza, al ricatto e all’egemonia della mafia. Si avvertiva quindi la necessità spirituale e non solo intellettuale, di fare qualcosa di forte, di concreto, di durevole, di educativo, con gli strumenti che possono essere usati da due artisti, la musica e la poesia, per restituire, almeno nel dramma in musica, le verità di due uomini che hanno dedicato e sacrificato ogni loro energia e la loro stessa vita per riscattare l’onore di una terra, la Sicilia, da troppo oltraggiata, sfruttata, annientata e da troppo tempo schiava e succube di Cosa Nostra. Così, nelle nostre lunghe conversazioni, ne parlavamo di una possibile realizzazione di un’opera da dedicare a Falcone e Borsellino, anche se il librettista non era molto convinto perché per troppo tempo, avendo lavorato nella Fincantieri di Palermo e avendo combattuto la mafia attraverso le pagine del giornale da lui diretto, si rendeva conto che si sarebbe trattato di una strada tutta in salita, non priva di pericoli e d’innumerevoli porte in faccia…”
Come si evince da questo stralcio di dichiarazione, sono evidenti le spinte non solo emozionali di questo lavoro che, oltre ad essere un omaggio ai due grandi magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, intendeva fornire gli elementi per una rinascita delle coscienze, giacché, come ancora ci hanno detto i due artisti: “ …Volevamo riappropriarci della nostra condizione di uomini liberi, riuscendo a sconfiggere la bestialità mafiosa che soffoca e uccide la cultura e l’economia di un territorio nato libero e che, appunto per questo, agogna alla riconquista della propria libertà, una libertà incondizionata e senza servitù…”
Ciò che è nato a fronte di queste premesse, assolutamente indispensabili per comprendere fino in fondo la struttura musicale e testuale dell’opera, al netto di soggettive possibilità di miglioramento, è un efficace e potente grido di dolore che si fa via via voce di popolo e forza di una comunità consapevole che solo insieme è possibile sconfiggere ciò che, giorno dopo giorno, è divenuto fenomeno culturale e quasi prassi nella vita della società.
Antonio Fortunato così ci ha risposta alla nostra domanda sulla scelta di un’opera lirica come “strumento” attuale per la sua battaglia culturale: “Ho sempre considerato che l’opera lirica tradizionale, abbia ancora grandi possibilità espressive, per dar voce alle tematiche della nostra epoca, come appunto quello della lotta anti-mafia. La forza comunicativa che ha in sé, la sua intensità drammatica, la sua capacità di teatralizzare e di adattarsi alle esigenze dell’uomo di oggi che vive le tragedie immani del proprio tempo carico d’angosce e d’incertezze, pur differenziandosi, ovviamente, dagli operisti dei secoli precedenti, ha conservato un’integrità formidabile e rigorosa nel senso delle vaste possibilità che continua ad offrire. Il compositore di oggi che si apre all’opera lirica, si trova dinanzi orizzonti sconfinati e inesplorati. E nel dare respiro alla mia musica, non ho fatto altro che seguire il mio istinto, la mia preparazione, la mia capacità, le mie possibilità. Ho solo cercato di essere me stesso in ogni istante, facendomi solo suggerire dalla musica che già vive dentro di me.
Naturalmente, essendo un contemporaneo, era inevitabile che affiorassero le urgenze musicali dell’uomo di oggi, ma senza mai voler fare travisamenti strutturalistici e né tanto meno arrampicandomi sugli specchi o sospendendomi su acrobatici funambolismi. Lì dentro c’è la mia musica. Solo la mia musica, che vive in simbiosi con la poesia, in ogni suo istante.
Negli anni, la tavolozza dei miei colori e delle mie drammaturgie musicali, si è ben consolidata e quindi non devo seguire alchimie interpretative, ma solo rispettare i miei stilemi, i miei gusti. Sin dal principio, quando lavoro sull’orchestrazione, gli effetti sonori, a secondo le diverse situazioni narrative, mi sovvengono senza starci su a ragionare, giacché fanno parte del mio pensiero musicale, istintuale, naturale, in piena libertà spirituale”.
Giustamente, nelle parole che hanno preceduto l’inizio dell’opera, è stato sottolineato come la “mentalità mafiosa” non è solo quella delle cosche ma vive dentro di noi ed è alimentata da messaggi negativi che ci vengono proposti anche da chi, al contrario, dovrebbe essere preposto alla nostra educazione civica. Rifiutare la logica mafiosa significa rifiutare le “vie brevi”, le “vie facili”, significa rinunciare a privilegi e a poteri che servono solo per condizionare gli altri e per trarne egoistici vantaggi.
Significa, nella propria vita pubblica e privata, ripudiare con decisione ogni tentazione di “comprare” o “ farsi comprare” e crescere e far crescere le nuove generazioni sotto l’ala protettrice di quei valori etici e morali che costituiscono la “naturale coscienza civica” di ogni popolo civile.
L’opera si connota per una forte tensione emotiva: musicalmente attraente anche nei passaggi più enfatici, forte di una strumentazione che sottolinea in modo pertinente ogni passaggio con grande passione e struggente partecipazione, trova talvolta nel testo una sorta di “impaludamento” che rischia di diluirne l’impatto e la forza. Nonostante questo, il risultato finale è assolutamente positivo: il confronto tra i personaggi, Madre, Padre e Mafia, emblematici simboli di quella impari dialettica tra carnefice e vittime, trova il positivo epilogo solo quando il coro, che rappresenta la coscienza collettiva della città e più in generale della società, giunge loro in soccorso mettendo all’angolo Mafia che, solo a quel punto, si dichiarerà davvero sconfitta “…in questa isola gelosa che riprende una nuova strada, ricomincia una nuova vita, tutto cambia sotto una luce nuova che ci sconfigge e seppellisce noi gente atroce che siamo ormai gente sconfitta”.
Grande la prova degli interpreti che, già dalle prove, hanno vissuto questa rappresentazione con una passione che va ben oltre la pura professionalità: intensa e drammatica l’interpretazione che la soprano Lydia Tamburrino ha dato del personaggio di Madre, che a tratti ricordava la Santuzza mascagnana nel suo essere vittima mai rassegnata, forte di una dignità e di una fede che sanno allontanare anche la paura. Bella, nella sua baldanza quasi risorgimentale, anche l’interpretazione che il tenore Italo Proferisce ha dato del personaggio di Padre mentre assolutamente impareggiabile è stata quella del basso Giuseppe Pellingra nel ruolo di Mafia, la cui “sicilianità” ha dato forza sia alla capacità interpretativa del testo, in alcune sue parti scritto in siciliano, che a quella scenica dove ha recitato con grande misura una parte decisamente non facile.
Ad affiancare i cantanti, due attori “chiamati” dai palermitani (il coro) a dar voce a Falcone e Borsellino in una recita pubblica destinata a risvegliare le coscienze: Andrea Biagiotti e Marco Maria Casazza hanno saputo rendere con grande pathos i pensieri, le paure, i dubbi e le drammatiche parole dei due magistrati rievocandone gli ultimi istanti con una sconvolgente drammaticità. E proprio il coro, quello Lirico di San Nicola come quello delle voci bianche Pueri Cantores di San Nicola e Santa Lucia, hanno avuto nell’opera un ruolo centrale, l’uno, in scena fin dal principio come avveniva nella tragedia greca, a rappresentare la società civile, l’altro a incarnare le piccole anime delle vittime innocenti, monito inquietante per chi crede che la e le mafie abbiano abbandonato la loro indole violenta.
Ottima la performance dell’Orchestra Arché, ben guidata dal M° Elio Orciuolo, che si dimostra sempre più un interessante riferimento per il teatro pisano. Regia e scene, affidate alla sensibilità di Lorenzo Maria Mucci, nella loro essenzialità hanno saputo efficacemente dipingere il contesto della vicenda già densa di parole e musica per richiedere ulteriori abbellimenti.
Crediamo che questa opera possa e in qualche modo debba innanzi tutto andare laddove è stata ingiustamente rifiutata: nella Palermo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per poi proporsi nei teatri di questo nostro Paese in special modo ai giovani ai quali spetterà il compito di ricostruire un’Italia degna della sua storia e capace di distruggere, anche con le armi della cultura e della giustizia, tutte le mafie e tutte le illegalità che la umiliano e la piegano a ricatti e soprusi, come giustamente proprio Borsellino ebbe a dire poco prima della sua morte: “ La lotta alla mafia dev’essere innanzi tutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e della complicità”.
Stefano Mecenate