Michael-Marc Bounchard, canadese, si avvicinò ben presto alla scrittura per teatro: aveva appena 14 anni quando andò, per la prima volta, in tour con uno dei suoi pezzi.
«Tom auf dem Lande» fu presentato, per la prima volta, proprio a Saarbrücken, nell’ambito del Festival Primeurs (2011). Pochi anni dopo, nel 2013, viene trasporto cinematograficamente da Xavier Dolan, ricevendo, al LXX Festival del Cinema di Venezia, il Premio FIBRESCI.
Nella ripresa del 2018/2019 del Saarlaendisches Staatstheater, il regista Max Claessen, decide di creare, con Miriam Benkner (Accessori) e Gaby Muller (costumi), uno spazio trombe d’oeil: un cubo bianco che canalizza, contiene e blocca l’azione scenica.
Tom (Konstatin Rommelfangen), si reca in campagna, per partecipare al funerale dell’uomo da lui amato. L’unico a conoscere la verità è il fratello del defunto, Frances (Pitt Simon), un contadino dalle forme e la delicatezza di un orso. La madre, Agathe (Christiane Motter), non ha alcuna idea delle preferenze sessuali del figlio, anzi, è convinta che il figlio stesse assieme a Ellen, fantomatica inglese.
Così, al funerale, si stupisce, che la donna non si presenti. Nella semplicità dei suoi sentimenti una presenza sarebbe necessaria e dovuta. Agathe teme, che ci sia qualcosa che le sfugge. Si stupisce di se, del suo modo di reagire all’arrivo di Tom, e dopo della collega di Tom, Sara, che si spaccia per Ellen. Scoprirà la verità, solo quando leggerà i quaderni del figlio defunto e si renderà conto del suo orientamento sessuale nonché di quale evento tragico lo abbia portato a lasciare la campagna e scappare in città.
È un mondo fatto di bugie, castelli di carta, assunzioni riflessioni. Un mondo che Claessen presenta con violenza, nudità a crudezza. Un mondo, che ricorda l’intangibile realtà di Peter Brooke, ma non solo. Il vero protagonista, della piece, è il defunto, in grande assente/presente con cui e di cui si parla dall’inizio alla fine e che, anche da defunto, continua a farsi beffa dei sentimenti degli altri, statuendo, in maniera esemplare la propria egomania.
Elisa Cutullè