Da un autore di culto della letteratura svedese del Novecento, sedici racconti tra realismo sociale e visionarietà.
Maestro del racconto realistico o poeta dell’assurdo? Erede della grande tradizione del romanzo sociale svedese o emulo di Kafka? Dagerman, in realtà, fu tutto questo. Sperimentatore e innovatore della prosa svedese, nei suoi romanzi la rappresentazione realistica del mondo si alterna a descrizioni di universi narrativi spesso assurdi e dalle forti connotazioni simboliche. La stessa versatilità dimostrata nei romanzi si ritrova anche nei numerosi racconti scritti da Dagerman, alcuni dei quali vennero pubblicati in vita, mentre altri vennero raccolti solo dopo la prematura morte dello scrittore. Racconti tra loro assai diversi, e tuttavia in tutti ritroviamo i temi che caratterizzano nel complesso la sua scrittura: il terrore senza nome e senza apparente ragione che attanaglia il protagonista di I vagoni rossi, la topografia onirica e gli ossessivi sensi di colpa nell’Uomo di Milesia, ma anche il flusso di coscienza in cui – in Dov’è il mio maglione islandese? – il narratore, con un linguaggio duro, cattivo e disperato, costruisce una versione menzognera e illusoria della propria esistenza per poi, reso confuso e inerme dall’ubriachezza, smontarla e rivelare tutta la propria infelicità, il proprio bisogno d’amore.
Stig DAGERMAN
Anarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell’inviolabilità dell’individuo, Stig Dagerman (1923-1954) appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati.