Il caffè di Tamer: un romanzo di amicizia e speranza

 

“Il caffè di Tamer” è un romanzo toccante e importante, che non lascia indifferenti. Un libro da leggere e da tenere a mente, per non dimenticare che la speranza è l’unica vera arma contro la guerra.

Immergersi nel cuore pulsante di Gerusalemme con “Il caffè di Tamer”, il romanzo di Diego Brasioli- Ambasciatore Italiano in Lussemburgo- che narra la storia di due amici speciali: Dori, un ebreo, e Tamer, un arabo, uniti dalla gestione di un piccolo caffè.

Tra le mura del loro locale, si intrecciano le vite di personaggi eterogenei, sullo sfondo di un conflitto che sembra insanabile. Brasioli dipinge con delicatezza le loro fragilità e la loro forza d’animo, mostrando come l’amicizia tra Dori e Tamer vada oltre le barriere di religione e cultura.

Il caffè diventa un rifugio sicuro, un microcosmo di pace dove le persone possono incontrarsi e dialogare, al di là delle divisioni. La scrittura limpida e coinvolgente di Brasioli ci permette di vivere le emozioni dei protagonisti e di assaporare l’atmosfera magica del locale.

Le descrizioni vivide di Gerusalemme ci catapultano direttamente tra le sue vie, facendo vivere in prima persona la complessità della città.

Il romanzo non offre soluzioni banali al conflitto israelo-palestinese, ma invita a riflettere sull’importanza dell’incontro e del dialogo. La storia di Dori e Tamer insegna che la pace è possibile, anche quando tutto sembra perduto.

 

Abbiamo chiesto a Diego Brasioli di parlarci del suo romanzo.

 

Ci può parlare del suo libro? Come è nato? Qual è il messaggio, a cosa si è ispirato? Perché il libro è stato ripubblicato dopo tanti anni?

Il libro il caffè di Turner. Narra di una storia di amicizia. Tra un ebreo e un musulmano arabo. Nella città di Gerusalemme. Si basa su un fatto realmente avvenuto. E lo scopo del volume non è quello di fare un saggio politico. Ma, appunto, concentrarsi sulla storia di amicizia. Vuole essere un modo per esplorare la possibilità di sviluppare dei sentimenti di sincera amicizia. E di fraterna collaborazione anche in una situazione di perdurante conflitto. Si tratta di un libro che fu pubblicato 22 anni fa. L’editore Mursia, alla luce della perdurante attualità della crisi, ha deciso di stamparne una nuova edizione, alla quale non abbiamo dovuto cambiare neanche una virgola. Infatti- vorrei dire, purtroppo – la situazione di conflitto e di tensione rimane sempre quella di una volta e anzi, forse, si è addirittura acuita. Sono stato personalmente a Gerusalemme anche per motivi di lavoro, molte volte e ho avuto modo di conoscere da vicino la realtà di quella città conoscendo molti esponenti, sia della società civile sia politici dei due paesi. E mi sono fatto l’idea che al di là del conflitto, che esiste ed è molto profondo.

Vi è anche la possibilità – oserei dire la necessità- di arrivare a delle forme di comprensione reciproca. È quello che non si stanca di ripetere anche il nostro ministro degli Esteri Antonio Tajani. Quando invoca la necessità di arrivare ad una soluzione di una pace giusta basata sulla formula di due popoli in due paesi.

 

Che messaggio ha dato al suo romanzo?

Uno Stato israeliano e uno Stato palestinese che vivono in pace e giustizia, una accanto all’altro. Può sembrare un’utopia ma è l’unica strada percorribile e tutta la comunità internazionale deve sforzarsi e adoperarsi in tal senso per superare l’attuale terribile congiuntura che vede purtroppo tante vittime civili.

 

Che importanza hanno il dialogo e la comprensione per Lei in qualità di ambasciatore?

Il mio lavoro è il diplomatico. E la diplomazia deve essere la strada maestra per cercare di superare le controversie internazionali al di là dello strumento della guerra.

 

Perché pubblicare il romanzo in un periodo in cui il conflitto. Palestinese e più attuale che mai?

Ci tengo a ripeterlo. Non volevo fare un saggio politico, non avrei saputo aggiungere nulla di originale e importante. Ai numerosissimi studi che sono già stati fatti sulla situazione israeliano palestinese, ma volevo concentrarmi sull’aspetto umano del conflitto e concentrarmi sulle persone che vivono in situazioni come quella attuale. Per questo ho scelto la strada della narrativa, limitandomi a raccontare fatti veramente accaduti e semplicemente cambiandone i nomi.

 

Elisa Cutullè

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