Hair – Reloaded

 

 

Meltem Ürküt (Linda); Ensemble | Foto: Oliver Dietze

Hair – The American Tribal Love/Rock Musical venne messo in scena, per la prima volta in versione tedesca il 24 ottobre 1968 a Monaco di Baviera.

Ritorna in scena a Saarbrücken, in versione Post-Covid. Cosa cambia nella messa in scena rispetto alla versione del 2020 in pieno periodo Covid e cosa rimane uguale?

Schneider, saarlandese doc, vanta una grande esperienza nel campo del musical: è stato direttore musicaledi musical come “Black Rider”, “The Rocky Horror Show” e “Hairspray”. La sua conoscenza musicale si completa anche con diversi stili musicali dal latino-americano al jazz.

Von Mayenburg, bavarese, dopo lo studio a Berlino, ha lavorato come assistente per Jürgen Flimm, Katharina Wagner e Stefan Herheim.  Finora attivo nel campo regia per opere, Hair rappresenta il suo primo Musical..

Gerome Ragni e James Rado pensavano, inizialmente di creare un pezzo puramente recitativo, vista la precedente carriera teatrale. Tuttavia, l’evoluzione teatrale, nonché l’affermarsi della generazione hippie, portarono i due a trasformare “Hair “in una sorte di documentario specchio dei tempi: l’insicurezza dei giovani, la loro protesta, la negazione del tradizionale, la curiosità religiosa, la ricerca di un misticismo chiarificatore, la tendenza filosofica nonché la provocazione.

Provocazione, questa è parola chiave di questa messa in scena: non si accettano le limitazioni imposte, o meglio si vivono le limitazioni imposte. La scenografia (curata da Tanja Hofmann) che accoglie lo spettatore è il caffè di Hud (Darrin Lamont Byrd): un luogo di (non) incontri. In effetti, chi entra nel caffè non si trova, lì, apparentemente, per incontrare qualcuno, bensì solo per prendere una bevanda, continuando a fissare, imperterrito, lo schermo di uno smartphone. I saluti sono fugaci: è una presenza/non presenza in cui Hud, è solo una figura indistinta che vive e lavora, senza suscitare troppa attenzione.

Claude Hooper Bukowski (Benjamin Sommerfeld) parlando di sé, e raccontando la sua storia, presenta una versione satirico di Boris Johnson. Ironico che proprio un non-inglese (pur definendosi di Manchester, ha origini polacche) impersoni colui che promuove l’unicità del popolo inglese.

Nasce così, la necessità di liberarsi dalle restrizioni: via tutto quello che c’è di materiale, via vestiti ingombranti e benvenuta era in sicurezza. Guanti e tute diventano accessori indispensabili. Ma questi, eliminano la personalità e impongono, nella loro apparente neutralità un nuovo conformismo che crea altre ansie.

Incomincia, così. La ricerca di una nuova identità, di un nuovo mondo che dia sicurezza.

Brillante l’idea per il cambio scena dei costumi (curati da Ralph Zeger): arrivano dall’alto costumi coloratissimi, diversi in stile e moda, che permettono, a tutti di cercare a trovare una nuova identità.

Seguendo in maniera cieca le direttive dall’alto, gli errori non sono esclusi. Quando si commette un omicidio è più colpevole la forza militare o l’esploratore che penetra le culture ignorando le differenze culturali? La linea è così sottile, che è impossibile capirla.

Provocatorie e molto realistiche le esagerazioni satiriche di alcuni aspetti come la presentazione delle meringhe morbide ricoperte di cioccolato, conosciute come Mohrenköpfe/Negerküsse (teste di moro/baci di negro) e che, nel linguaggio moderno politicamente corretto di chiamano Schaumküsse, portati in scena da Hud travestito da Moro o dall’omino del Weißer Riese, il detersivo conosciuto per rendere tutto più bianco che non si può, interpretato da Carlo Schiavone.

Magistrali, è l’unico termine, l’interpretazione delle canzoni, non solo di quelle simbolo di questo musical, come Aquarius o Let the Sunhine In, portate in scena dal cast : Claude Hooper Bukowski (Benjamin Sommerfeld); George Berger (Jan-Philipp Rekeszus); Neil »Woof« Donovan (Simon Staiger) Hud (Darrin Lamont Byrd), Sheila Franklin (Sybille Lambrich), Jeanie (Carolina Walker), Dionne (Judith Lefeber), Crissy (Nina Links), Margaret Mead (Ingrid Peters), Ron  (Carlo Schiavone), Walter (Julian Schier), Paul (Chadi Yakoub), Linda (Catherine Chikosi), Suzannah (Maureen Mac Gillavry), Mary (Jennifer Mai).

Rinfrescante l’intervento della bidella sarrese che interviene per ripristinare l’elettricità e non disegna di trascorrere un po’ di tempo con la comune.

Le coreografie di Eleonora Talamini, coadiuvata dal Dance Captain Carlo Schiavone, un possono finalmente dimostrare il pieno potenziale, senza i limiti della distanza: perfette a sostegno della storia ma con una narrazione propria.

La malleabilità di questo musical, che non scade mai nel banale è una garanzia di successo e dovrebbe, diventare un punto di riflessione per capire in quale fase della propria vita critica ci si trovi.

Il messaggio è chiaro: non esistono primedonne o protagonisti principali, non esiste una soluzione d’oro per tutti. Ognuno deve cercare di capire cosa rende la propria vita unica e vivibile.

 

 

Elisa Cutullè

 

Foto (c) Oliver Dietze

 

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